Dopo l'89, finita la Guerra Fredda, l'Europa si immaginava per sempre senza "cortina di ferro". E invece, da alcuni anni, si sono moltiplicati i muri: questa volta costruiti dall'Europa per impedire l'accesso e non più dai regimi autoritari vicini per vietare la fuoriuscita. 

Nel 2012 ha iniziato la Grecia issando una rete di dodici chilometri, al confine con la Turchia, seguita qualche anno dopo dalla Bulgaria, sempre al confine con la Turchia. E’ stata poi la volta della Macedonia al confine con la Grecia, dell'Ungheria al confine con Serbia e Croazia, della Slovenia al confine con la Croazia.

La rotta balcanica ha invertito i ruoli nella regione: questa volta è stata l’Unione europea ad esportare instabilità e non il contrario. I rifugiati arrivavano infatti da un Paese membro, la Grecia, e rischiavano di restare intrappolati nei Balcani perché i paesi dell'UE più a nord bloccavano il passaggio. 

L’innalzamento dei muri ha segnato infine il rovesciamento della percezione del sud-est Europa da area verso cui esportare democrazia e diritti umani ad area a cui i paesi membri dell’UE guardano per assicurarsi la collaborazione nel controllo dei fenomeni migratori.




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Ultime modifiche: giovedì, 8 giugno 2017, 11:39