Le istituzioni europee e le politiche anti-discriminazione UE
7. Normative anti-discriminazione
Negli anni ‘90 vari gruppi di interesse hanno esercitato pressione affinché il divieto di discriminazione sancito dal diritto dell’Unione fosse esteso ad altri ambiti quali: la razza e l’origine etnica, l’orientamento sessuale, le convinzioni religiose, l’età e la disabilità.
La prima direttiva anti-discriminazione introdotta nella legislazione europea è stata la Direttiva sull'uguaglianza razziale (Racial Equality Directive, 2000/43/EC) che ha introdotto il principio di parità di trattamento tra persone indipendentemente dalla razza o l’origine etnica non solo nell’ambito del lavoro, ma anche nell’accesso ai beni e ai servizi e nell’accesso alla protezione sociale (assistenza sanitaria, istruzione e abitazione).
Poco dopo è stata adottata la Direttiva per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (Employment Equality Directive o Framework Employment Directive, 2000/78/EC) che ha incluso il divieto alla discriminazione sulla base della religione, la disabilità, l’età e l’orientamento sessuale in ambito lavorativo.
Nel 2004 la Direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (Gender Goods and Services Directive, 2004/113/EC), ha esteso la protezione contro la discriminazione fondata sul sesso a questo settore. Tuttavia, la tutela contro tale tipo di discriminazione non corrisponde esattamente a quella riconosciuta dalla direttiva sull’uguaglianza razziale, in quanto garantisce parità di trattamento solo per l'accesso ai beni e ai servizi ma non nel campo della protezione sociale.
Inoltre, le tre direttive anti-discriminazione non avevano vincolato gli Stati membri ad utilizzare il codice penale per sanzionare gli atti discriminatori. Ecco perché nel 2008 è stata introdotta una Decisione quadro del Consiglio dell’UE che ha obbligato tutti gli Stati membri UE a prevedere sanzioni penali nel caso dell'incitamento alla violenza o all'odio sulla base di razza, colore della pelle, origine, religione o credo, etnia e nazionalità oltre alla diffusione di materiale razzista o xenofobico e al condono, negazione, o trivializzazione del genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità su questi gruppi. Gli Stati membri sono stati inoltre obbligati a considerare aggravante l'intento razzista o xenofobo.
La tabella riassuntiva presentata nel 2012 da Social Platform in un'audizione al Parlamento europeo aiuta a visualizzare quali sono gli ambiti coperti dalla normativa europea:
Fonte: Pierre Baussand, Social Platform 2012
Poiché la normativa europea ha finito per assicurare una tutela disomogenea contro le discriminazioni, la Commissione europea ha proposto una nuova «direttiva orizzontale» per uniformare le garanzie previste dalla legge sia rispetto ai motivi che configurano la discriminazione che agli ambiti di applicazione.
Il Parlamento europeo ha espresso il suo parere sostanzialmente positivo sulla direttiva con una risoluzione adottata il 2 aprile 2009. Tuttavia, la direttiva orizzontale è rimasta bloccata in Consiglio da allora per l'opposizione di sette paesi membri, tra cui la Germania.
Il Trattato di Lisbona, infatti, ha introdotto una clausola orizzontale per fare sì che la lotta contro le discriminazioni sia integrata in tutte le politiche e le azioni dell'UE (art.10 del TFEU). Per questo, ora non basta più la procedura legislativa ordinaria (COD) con l'approvazione a maggioranza qualificata per fare modifiche normative. Si deve utilizzare una procedura legislativa speciale (APP): il Consiglio delibera all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo.
Nei programmi della Commissione del 2016 e del 2019 la Direttiva anti-discriminazione è tornata tra le priorità dell’esecutivo europeo ma ancora oggi non si è raggiunta l'unanimità necessaria per la sua approvazione.